Il Danno Ambientale (dssa P.Muoio)

Lo scopo di questo studio è l’analisi del danno ambientale come esternalità negativa che va compensata con una tassazione.


La gestione di un processo in generale si esprime come il cammino che va dall’input alla sua trasformazione fino alla produzione dell’output.

Gli studi di Georgescou Roegen hanno dimostrato che la regola “Nulla si crea nulla si distrugge” non corrisponde al vero, infatti secondo l’uguaglianza input+trasformazione=output+residuo ogni processo di trasformazione implica secondo la quarta legge della termodinamica la formazione di un residuo che viene necessariamente dissipato come forma di energia perduta nel processo di trasformazione.

La quarta legge della termodinamica in poche parole afferma che la materia disponibile si trasforma irreversibilmente e ininterrottamente in materia non disponibile e non riciclabile e che in un sistema chiuso l’entropia della materia deve tendere verso un massimo, laddove l’entropia è definita anche come una misura del disordine.

Ne consegue che la stabilità di un sistema chiuso è esclusa dalla quarta legge.

L’energia netta di un processo è quindi uguale all’output meno un residuo.

L’energia netta è l’unico sostegno materiale dell’esistenza dell’umanità.

La legge dell’entropia è la radice principale della scarsità.

Dovendo analizzare la scarsità in modo più completo le valutazioni degli economisti si avvicinerebbero sempre più a quelle degli studiosi di termodinamica.

L’analisi dell’energia netta costituisce oggi il criterio delle valutazioni tecnologiche e della politica energetica degli Stati Uniti.

L’analisi dal punto di vista energetico libera l’economista dal compito di comparare e sommare mele e arance.


Il Protocollo di Kyoto richiede la riduzione di sussidi e tasse che distorcono il mercato verso la rovina dell’ambiente, stabilisce le valutazioni e i programmi regionali che devono essere svolti allo scopo di ridurre gli effetti sul clima e le emissioni e le percentuali di riduzione delle emissioni che devono essere raggiunte.

Lo sforzo maggiore sta nel prevedere, come auspicato anche dal Protocollo di Kyoto, una griglia di tutti questi elementi per poi contabilizzarli. La risultante di questa stima sarà il danno ambientale arrecato all’economia, ovvero il costo sociale dell’attività produttiva, che servirà da base per il calcolo dell’imposta ambientale da applicarsi all’impresa.

In termini dell’analisi di Coase il prodotto sociale è = al prodotto privato meno il costo sociale e il danno ambientale è il costo sociale che deve essere ripristinato a cura dell’impresa produttrice attraverso il pagamento di una tassa.

In questi termini, il costo aggiuntivo per l’impresa, in seguito alla decisione di disinquinare che scaturirà dalla necessità di non pagare tasse, è costituito inizialmente dal costo di produzione + costo della tassazione e successivamente dal costo di produzione + costo disinquinamento necessario per indennizzare la popolazione del danno ambientale arrecato.

Secondo il protocollo di Kyoto considerando gli inquinanti atmosferici tradizionali che influenzano la qualità dell’aria a livello locale, si deve eseguire un inventario delle attività responsabili delle emissioni dell’area e si calcolano le relative emissioni generate all’interno dell’area stessa.

Un metodo usato per la stima del danno ambientale è quello dell’impronta ecologica che è un indicatore aggregato che mostra la sostenibilità dei consumi complessivi di una determinata comunità ed il loro impatto sulla disponibilità di territorio naturale.

L’impronta ecologica di qualsiasi popolazione è il totale della terra e del mare ecologicamente produttivi occupati esclusivamente per produrre tutte le risorse consumate e per assimilare i rifiuti generati da una popolazione.

L’impronta ecologica valuta gli effetti ambientali dei cicli di consumo e si rappresenta come un indicatore aggregato che esprime l’ammontare di spazio naturale impegnato per la produzione delle risorse utilizzate per il sostentamento di una determinata comunità e per l’assorbimento dei residui processi di produzione, consumo e smaltimento associati alla medesima comunità.

Viene quindi calcolato il bilancio energetico di una determinata comunità, il quale comprende sia la quantità di energia consumata localmente dalle utenze industriali, terziarie e civili che l’energia incorporata nei prodotti consumati, calcolata attraverso l’uso di specifici coefficienti medi di intensità energetica.

La biocapacità misura l’offerta di bioproduttività, ossia la produzione biologica di una data area che corriponde alla somma delle terre arabili, pascoli, foreste, aree marine produttive e in parte aree edificate o in degrado.

Il deficit ecologico, dato dalla differenza fra l’impronta ecologica e capacità ecologica disponibile misura il sovraccarico di un determinato paese o regione e esprime la sua dipendenza da capacità produttive extraterritoriali.

Tuttavia l’impronta ecologica misura il consumo di risorse naturali, e solo in parte il vero danno ambientale come degrado della qualità o disponibilità della risorsa.

In un documento di Ambiente Italia si auspicano ulteriori affinamenti nelle metodologie di raccolta ed elaborazione dati al fine di semplificarle e renderle di più facile implementazione, migliorare la compatibilità con sistemi simili, ottimizzare la frequenza e il modo di raccolta ed elaborazione dati e quindi i costi.

La contabilità ambientale significa che la singola impresa deve produrre oltre che il bilancio in termini fiscali un bilancio ambientale in termini energetici di flussi di input e flussi di output dei suoi processi produttivi.

C’è anche l’ulteriore principio: chi inquina paga disinquinando che è il passo successivo che dovrebbe effettuare una vera politica ambientale.

Per non pagare la tassa l’imprenditore deve dimostrare di disinquinare o con depuratori e con altri procedimenti.

La tassa viene applicata sulla quantità del residuo e con la riduzione del residuo diminuirà anche la tassa da pagare.

Georgescou Roegen è uno dei fautori dell’economia ambientale e anche secondo lui l’obiettivo è quello di andare verso una riconversione più generale dell’economia dall’utilizzo di risorse ad alta entropia all’utilizzo di risorse con bassa entropia, con minor spreco di risorse e minore output.


LA DIRETTIVA COMUNITARIA SUL DANNO AMBIENTALE


La direttiva si applica alle attività professionali che presentano un rischio per la salute umana e per l’ambiente e si prefigge di prevenire e riparare il danno ambientale.

La direttiva non si applica ad attività il cui scopo principale è la difesa nazionale o la sicurezza internazionale.

I costi di prevenzione e riparazione debbono venire sostenuti da chi li ha provocati secondo tale direttiva, in base al principio: “chi inquina paga”.

La categoria di danno ambientale si suddivide in danno alle specie e a gli habitat naturali protetti, danno alle acque, danno al terreno ed è un mutamento negativo misurabile di un servizio di una risorsa naturale, che può prodursi direttamente o indirettamente.

Dev’essere possibile accertare un nesso causale fra il danno e le attività di singoli operatori.

L’operatore sostiene i costi delle azioni di prevenzione e di riparazione adottate in conformità alla direttiva.

L’operatore è responsabile soltanto in caso di dolo o colpa grave.

Spetta all’autorità competente dello stato membro individuare l’operatore che ha causato il danno, valutarne la gravità e determinare le misure di riparazione da prendere.

La richiesta di azione può essere effettuata da persone fisiche o giuridiche che sono o potrebbero essere colpite dal danno ambientale o che vantino un interesse sufficiente nel processo decisionale in materia concernente il danno o ancora che facciano valere la violazione di un diritto, nei casi in cui il diritto processuale amministrativo di uno stato membro esiga tale presupposto.

In quest’ultimo caso sono considerate titolari di diritti anche le organizzazioni non governative che promuovono la protezione dell’ambiente.


IL MONITORAGGIO EUROPEO DELLE EMISSIONI DI GAS SERRA


Con il provvedimento 280/2004/Ce gli stati membri sono obbligati alla rilevazione dei dati e alla loro trasmissione alla Commissione.

Essi devono tenere la contabilità delle emissioni mediante un registro si cui conteggiare e calcolare i volumi di quote assegnate e i loro movimenti ed entro il 2005 hanno l’obbligo di compilare un inventario nazionale qualitativo sugli inquinanti ad effetto serra.

L’autorità nazionale assegnerà ad ogni impianto una quota di emissioni calcolata sulla base del volume di inquinanti emessi e sul tetto limite riconosciuto che deve chiedere all’autorità competente del suo stato membro un’autorizzazione per l’emissione del gas serra.

Sulla base delle autorizzazioni gli Stati membri assegneranno ogni anno a ciascun impianto quote di emissioni che saranno gradualmente ridotte nel tempo per garantire la riduzione delle emissioni.

Oggetto di scambio sono queste quote.Vi saranno imprese più rispettose che hanno conseguito risultati efficaci in materia ambientale che avranno crediti di emissione, ma anche imprese costrette ad acquistare titoli di emissione, frutto delle buone prassi ecocompatibili di altre industrie.

Un’impresa può quindi trasferire una quota dei propri diritti di emissione ad un’altra, continuando a rispettare il principio del saldo netto attraverso uno scambio che tende a mantenere inalterata la ripartizione del carico inquinante.

L’obiettivo è quello di mettere in condizione qualsiasi organizzazione e azienda pubblica o privata di compiere il monitoraggio dei suoi gas serra, al fine di verificare se le proprie emissioni siano in regola con quanto prescritto dalla legge, oppure per compiere un test delle performance.

A tal fine verranno redatte delle linee guida ed indicatori coerenti con i parametri stabiliti dalla Ue per la raccolta e il trattamento dei dati da mettere a disposizione delle società compilatrici.


LE RISORSE ENERGETICHE


L’affermazione del principio della quarta legge della termodinamica porta automaticamente il ragionamento verso la ricerca dell’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili e verso la più ampia tematica del risparmio energetico.

L’attenzione delle politiche di risparmio energetico nel tempo si è situata soprattutto sull’efficientizzazione dei processi, meno sulla ricerca di effettive fonti di energia rinnovabile.

Il problema sono ancora i costi, perché molte fonti rinnovabili sono ancora molto costose rispetto alle fonti non rinnovabili.

Sarà il costo che renderà più convenienti certi tipi di risorse rispetto alle altre.

E’ proprio di questo costo che ho fatto un tentativo di definizione.

Il costo di una risorsa dovrebbe essere calcolato così:

-costo di estrazione;

-costo di trasformazione;

-costo di gestione;

-costo di trasporto;

-costo di distribuzione;

-costo di dissipazione; (mentre lo trasformo si disperde qualcosa)

La tematica del danno ambientale ritorna anche nel discorso afferente alle fonti di energia.


LA POLITICA ENERGETICA


L’ente pubblico che si occupa di politica energetica deve rifare i calcoli di convenienza sulla base della configurazione di costo sopra definita e ciò vale anche per l’imprenditore che sceglie come alimentare i propri processi produttivi.

Occorre obbligare gli operatori a fare calcoli per evitare il peggioramento del degrado ambientale.

Purtroppo oggi molto spesso le autorità per l’energia rincorrono anch’esse il profitto come le società private, essendo quotate in borsa e sono più inclini all’efficientizzazione dei processi piuttosto che a tentare una loro riconversione in termini di bilancio energetico.

La prospettiva del danno ambientale è per una maggiore e reale responsabilizzazione degli imprenditori verso queste tematiche, dovendo fare i conti con un imposizione maggiorata dei processi produttivi maggiormente inquinanti.

Certo è che in tempi di recessione economica come gli attuali far breccia su certi argomenti è molto più difficile, però nel lungo periodo essi debbono essere presi in considerazione dal policy maker, perché è in ballo la sopravvivenza del sistema economico nel suo insieme.

Sono soprattutto i paesi del terzo mondo che debbono cominciare a prendere in considerazione questi temi, perché loro pur di avere lo sviluppo economico come il nostro, rinunciano all’ecosistema ambientale.

Ad esempio la Cina che sta diventando un gigante industriale è il maggior consumatore al mondo di carbone, con tutte le conseguenze negative che sull’inquinamento ne derivano.

Gli Stati Uniti sono i principali utilizzatori di petrolio al mondo e non si sono impegnati nella lotta all’inquinamento non avendo controfirmato l’accordo di Kyoto, sapendo di non poter rispettare l’impegno della riduzione delle emissioni atmosferiche relative all’effetto serra.

Sicuramente gli Stati Uniti effettuano molti studi in materia perché sono uno dei paesi che spreca maggior energia al mondo, anche per effetto del loro modello economico, volto al consumismo più sfrenato.

L’energia ha scatenato anche guerre per il suo accaparramento, infatti sia gli arabi sia gli americani si combattono anche per il predominio sulle fonti energetiche, con gli arabi che pensano di vivere eternamente sui proventi di una rendita di posizione quale quella petrolifera.

E’una competizione che non porta a nulla di buono quella dell’accaparramento delle risorse energetiche.

Il problema è assai attuale e solo con una svolta nelle politiche energetiche se ne potrà vedere un barlume di soluzione.

Oggi sono numerosi gli studi sull’economia dell’idrogeno, ma sembra avere dei problemi anche l’idrogeno in quanto è combinato con acqua ed è difficile da utilizzare; per produrlo ci vogliono altri combustibili ed è difficile da conservare e da trasportare.

Altri propongono il nucleare, ma vi è ancora il problema irrisolto delle scorie radioattive.

Gli studi sulla fusione nucleare sono ancora in corso ma senza esiti di particolare importanza.

Importante invece è l’utilizzo del metano dell’energia elettrica e dell’energia dalle biomasse che non sono inquinanti.


PROSPETTIVE FUTURE


Molti studi di futurologi danno per certa la fine del petrolio fra 50 anni, per cui il problema diverrà impellente e senza soluzione se non si corre ai ripari subito.

Negli Usa c’è la convinzione che con l’innovazione tecnologica si risolveranno anche questi problemi e gli americani stanno studiando queste tecniche innovative (ES. le nanotecnologie) per ovviare ai problemi dello sviluppo economico.

Nel mentre il buco dell’ozono diviene sempre più grande e la temperatura della terra è in costante aumento con la prospettiva che si sciolgano i ghiacciai nel giro di qualche decennio e che muti tutto l’ecosistema, dando luogo anche ad imprevedibili mutazioni genetiche delle specie dovute al mutamento dell’habitat complessivo.

Negli Stati Uniti si sta studiando su Marte perché già alcuni pensano all’evacuazione dalla Terra.

Si sta studiando come ricostruire l’essere umano tramite il computer, gli studi sono molto avanti.

Sarebbe preferibile porre dei freni allo sviluppo piuttosto che avventurarsi in previsioni futuristiche di sviluppo dell’umanità, non dando per scontata la catastrofe, ma prevenendola.

Sicuramente per porre rimedio ai problemi dell’ambiente occorrerebbe un governo mondiale dei paesi più importanti che si mettano d’accordo a porre fine a questi andamenti, in quanto una siffatta politica ambientale attenta al danno ambientale fatta in un solo paese darebbe luogo alla fuga delle imprese verso i paesi dove certe regole non ci sono, cosa che normalmente fa il capitale libero di muoversi nel territorio mondiale con la globalizzazione.

L’ambiente è stato giudicato dalla Unione Europea un problema trasversale, che taglia moltissimi settori, ma ancora oggi in Europa fa fatica a decollare una vera e incisiva politica ambientale.

Vi sono l’introduzione delle Iso 14000, norme di certificazione ambientale e il regolamento dell’Emas che dichiarano che un’impresa è rispettosa dell’ambiente, ma non sono norme cogenti, sono norme volontarie e spesso vengono seguite solo nelle imprese di maggiori dimensioni, che possono permettersi i costi della consulenza necessaria alla loro implementazione.

Resta molto da fare anche a livello comunitario in materia ambientale.

La cosa più importante è che con la ratifica del protocollo di Kyoto l’Italia si è impegnata a ridurre del 6,5% le emissioni di gas serra rispetto ai valori del 1990 entro il periodo compreso fra il 2008 e il 2012.


ALTRI STUDI IN MATERIA


L’Istat ha elaborato uno schema di contabilità ambientale a completamento dello schema di contabilità nazionale, ma a livello di macrosistema non a livello di singola impresa.

Il conto Epea è finalizzato alla registrazione delle transazioni economiche effettuate per la protezione dell’ambiente dai diversi settori istituzionali dell’economia.

Il conto della protezione dell’ambiente è definito come comprendente tutte le attività e le spese finalizzate a tutelare l’ambiente da fenomeni di inquinamento e degrado (es. depurazione dei reflui, smaltimento rifiuti, abbattimenti delle emissioni atmosferiche, tutela del paesaggio e della biodiversità, ecc.) La prima applicazione dell’Epea per l’Italia riguarda le transazioni economiche relative in particolare ai settori delle acque reflue e della gestione dei rifiuti e le spese relative a questi due settori rappresentano mediamente circa il 70% del totale delle spese per la protezione dell’ambiente.

Ci sono gli studi di valutazione di impatto ambientale che partono dalla considerazione dell’ecosistema con tutti i parametri ad esso afferenti, ma sono studi di tipo più qualitativo che prendono in considerazione gli impatti ecologici di alcuni interventi con l’analisi dei nessi ambientali generati da interventi sul territorio (es. la costruzione di una diga o altro). Questi studi non hanno preso in considerazione il problema della misurazione quantitativa dell’impatto ambientale.

In definitiva il problema maggiore è il calcolo del residuo, ovvero la classificazione di tutti i componenti che ne fanno parte, al fine di una sua contabilizzazione.